Questa è una domanda che amo fare al genitore, perché in realtà non presuppone una risposta bensì una riflessione!

Il punto cruciale del discorso e della riflessione sta proprio nel chiedersi non “A cosa gioca”, ma “Cosa gioca” nostro figlio.

Si perché a cosa gioca, lo vediamo: alle bambole, ai salti, al lupo, ecc. Ma Cosa sta mettendo in atto con quel gioco, cosa ci racconta e cosa sta vivendo non è sempre chiaro al genitore. Eppure il gioco del bambino ci racconta tantissimo di lui e della fase di sviluppo che sta attraversando. Ci tengo, quindi, particolarmente a sottolineare certi concetti ai genitori. Il modo migliore per far comprendere a pieno l’importanza del gioco del bambino è quello di provarlo, sperimentarlo, viverlo insieme.

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Il bambino e il gioco

Il discorso sul gioco è talmente tanto ampio che, in questo articolo, preferisco soffermarmi su alcuni esempi che riguardano i primi tre anni del bambino. In questi primi anni di vita si costituiscono le basi della personalità e il bambino formerà la sua identità proprio grazie alle esperienze che farà attraverso il corpo e il movimento. Questi, come ho più volte ripetuto anche nei miei articoli precedenti, sono i canali privilegiati di comunicazione e apprendimento.

Nei primi tre anni di vita (precisamente tra il quarto mese e il terzo anno di vita secondo la psicoanalista Margaret Mahler) il bambino vive la formazione della sua identità attraverso il processo di separazione – individuazione, cioè il periodo in cui attraverso le esperienze il bambino comincia a percepire chi è e soprattutto a percepirsi diverso dal genitore. È nel gioco che il bambino pone giorno dopo giorno le basi per questa sua crescita evolutiva.

Dalla teoria alla pratica

  • Il gioco senso – motorio: è quel gioco in cui attraverso la sperimentazione corporea e le relative sensazioni il bambino conosce il suo corpo. Di questa area di gioco fanno parte tutti i giochi di equilibrio e disequilibrio, caduta, salti, tuffi, rotoli, ecc. Conoscendo, vivendo e sperimentando il proprio corpo il bimbo avrà la certezza di essere un individuo indipendente, separato e diverso dal genitore.

  • Il salto verso il basso: fa parte della macro area dei giochi senso motori però, nello specifico, questo gioco oltre allo sviluppo motorio ci racconta quello psicologico – emozionale. giochi di equilibrio

    Il bambino sale su un piano alto, può essere un semplice scalino oppure può arrampicarsi sopra il divano, oppure sopra un cubone psicomotorio e si tuffa in basso. In questa azione il bambino volontariamente passa da una situazione sicura e stabile in cui si è sostenuti, ad una più incerta e “pericolosa” di volo e allontanamento. Il bambino sta crescendo e comincia a sperimentare la fiducia in se stesso e non più solo in “appoggi” esterni.

  • Il gioco simbolico: tra i due e i tre anni comincia a presentarsi il famoso gioco del “far finta”. Inizialmente il bambino riproduce ciò che vede nella sua quotidianità (cucina, parla al telefono, guida la macchina) in una sorta di riconoscimento totale con le figure genitoriali. Più va avanti nella crescita più diventa autonomo ed entra nella fase conclusiva di separazione – individuazione, in questo periodo all’interno del gioco simbolico cercherà di risolvere da solo i nuovi avvenimenti emozionali ed affettivi che accompagnano la sua crescita. Questo è il periodo in cui gioca al lupo cattivo, in cui si giocano i mostri, in cui nella sala di Psicomotricità l’adulto viene ucciso e poi salvato. Il bambino sta provando a sperimentare e gestire da solo le sue emozioni “negative”.

Se partiamo da questi presupposti e da questi significati non possiamo che rivalutare enormemente l’importanza del gioco nello sviluppo motorio, ma soprattutto psicologico ed emozionale del bambino.

Ora provate per un attimo a pensare alla vostra quotidianità, pensate a quando vostro figlio comincia a correre come un forsennato per casa, poi magari si arrampica sul divano e salta giù, o a quando magari prova a camminare in equilibrio sulle sedie o altro ancora. Bene. Siamo proprio sicuri che la reazione istintiva di quel “Nooo! Fermo!” che spesse volte dite/diciamo sia la reazione più adeguata? Non sarebbe, invece, più adeguato mettere in sicurezza (anche solo con cuscini o trapunte o qualcosa di morbido) il luogo che il bambino ha scelto per le sue sperimentazioni e lasciarlo fare?

Oppure proviamo a pensare a quando i bambini cominciano a fare quei giochi in cui continuano a fare dispetti, fanno il lupo cattivo, distruggono il gioco che abbiamo fatto noi (o altri bimbi), dicono sempre no alle nostre proposte e noi ci sentiamo sfidati e provocati. Siamo proprio sicuri che il bambino stia mettendo alla prova noi o piuttosto non stia sperimentando tutte le sfaccettature della sua identità e stia, attraverso il gioco, conoscendosi e conoscendo le reazioni degli altri?

Il mio intento con questo articolo era quello di instillare in voi delle riflessioni. Darvi la voglia di osservare con maggiore consapevolezza Cosa gioca il vostro bimbo e magari provare a conoscerlo ancora di più attraverso il suo gioco e le sue azioni.

Cosa ne dite, ci sono riuscita?